Storia, storie, figure del Piemonte e degli antichi Stati Sabaudi

CALLISTO CARAVARIO PROTOMARTIRE SALESIANO

Gustavo Mola di Nomaglio

Nella storia delle missioni cattoliche la Cina ha un posto importante. All’inizio del XIX secolo la Chiesa di Roma vi era presente con due diocesi (Macao, e Pechino) e tre vicariati apostolici (Su-tchuen, Fo-kien e Chan-si) con circa 187.000 fedeli. Il numero non era insignificante ma, rispetto al ‘700 – quando i cataloghi dei Gesuiti contavano quasi 800.000 cristiani- era diminuito in modo impressionante. Le autorità avevano combattuto l’opera missionaria, minacciando i cinesi convertiti ed istigando il popolo a sterminare “i diavoli stranieri”. Durante l’800 i missionari ebbero vita meno difficile e riuscirono a portare in seno alla religione cristiana oltre 500.000 fedeli. Sembra un numero considerevole, tuttavia rispetto alla popolazione complessiva non vi era che un cristiano su ottocento, ancora troppo poco per potersi sentire al sicuro da nuove persecuzioni e repressioni. Queste giunsero, più terribili che mai, nel 1900 con la rivolta contro gli stranieri e i cristiani indigeni (protetta, per non dire istigata, da ambienti governativi) dei Boxers. Si registrarono impressionanti eccidi. Dal giugno al dicembre 1900 furono uccisi “fra inauditi tormenti” – si legge nel Lessico ecclesiastico pubblicato da Vallardi poco dopo i fatti – 25.000 cristiani cinesi, 6 vescovi, 28 missionari di varie nazionalità e 17 suore. Sfuggì per poco al massacro lo stesso vicario apostolico di Pechino, Monsignor Favier, liberato dalle truppe internazionali, insieme a 3000 cristiani, dopo un assedio durato 76 giorni che stava ormai divenendo insostenibile. Alcune testate giornalistiche della sinistra europea tentarono di giustificare le stragi compiute dai Boxers, accusando i missionari di avere provocato la reazione dei cinesi “disprezzandone le secolari costumanze”. Molte voci si alzarono però a favore dei religiosi, anche tra i cinesi non cristiani, e le accuse furono tacitate.

Nel corso dei secoli le regioni subalpine diedero alle missioni cinesi un degno contributo di uomini. La partecipazione piemontese divenne particolarmente significativa nei primi decenni del ‘900 con l’apporto dei Salesiani. San Giovanni Bosco nel proprio testamento spirituale aveva antiveduto, con frasi che si situavano a metà strada tra l’auspicio e la premonizione, la presenza dei propri discepoli in terra cinese, prevedendo che i Salesiani avrebbero potuto fare molto “a beneficio dei fanciulli poveri e abbandonati”. La cristianizzazione della Cina era nei programmi del Santo e anche nei suoi sogni. Qualche tempo prima di morire, egli narrò di avere sognato, in relazione alla presenza salesiana nel lontano impero, due calici che contenevano sangue dei suoi discepoli. Nonostante i presagi di Don Bosco e le terribili carneficine subite dai cristiani i Salesiani non si tirarono indietro e iniziarono una lenta opera di espansione nel territorio cinese.

 Il primo gruppo di Missionari Salesiani partì da Torino nel gennaio 1906, guidato da Don Luigi Versiglia (che, nato nel 1873 ad Oliva Gessi, nel Pavese, era entrato dodicenne nell’Oratorio torinese di Valdocco, per pronunciarvi, al termine degli studi, voti solenni). La prima sua istituzione in Cina fu un orfanotrofio. Nel giro di pochi anni, tra mille avversità, riuscì a dare vita a numerose case, ospizi, lazzaretti. Nel 1912, divenuto uno dei punti di riferimento del mondo cristiano cinese, fu consacrato vescovo. Tra i tanti che da Torino si recarono a svolgere la propria opera nell’impero celeste, giunse, nel 1924,   anche Don Callisto Caravario, un giovane sacerdote nato a Cuorgnè ventun anni prima. Divenuto segretario di Mons. Versiglia, nel 1930 lo accompagnò, con alcuni catechisti e catechiste, in un viaggio a Linchow. Lungo la strada li attendeva la morte che li avrebbe fatti divenire i primi martiri Salesiani. La barca con cui viaggiavano sul fiume del Linchow fu fermata da un gruppo di persone armate. Non era più il tempo dei Boxers ma i cattolici avevano ora nei “bolscevichi”, guidati, sotto la regia russa, da Chong-Fat-Kwai, nemici non meno feroci. Difficile dire se Versiglia e Caravario potevano cavarsela pagando una taglia. Di certo facendo scudo col proprio corpo alle maestre cinesi che li seguivano (e che di lì a qualche giorno sarebbero state fortunosamente salvate da forze di polizia) suggellarono il loro destino. Dopo percosse e torture furono fucilati. I corpi dei martiri giunti dal Piemonte, ritrovati da alcuni confratelli, furono sepolti, dopo solenni funerali, nella città di Shiu-chow.