L’11 giugno del 1969 un gruppo di amici (Gaudenzio Bono, Giuseppe Fulcheri, Dino Gribaudi, Gianrenzo P. Clivio, Amedeo Clivio, Camillo Brero, Alfredo Nicola, Armando Mottura, Giacomo Calleri, Censin Pich, Tavo Burat), riuniti da Renzo Gandolfo (1900-1987), davano vita al Centro Studi Piemontesi-Ca dë Studi Piemontèis, una istituzione pluridisciplinare dedicata allo studio della vita e della cultura piemontese in ogni loro manifestazione.
Il verbale di fondazione
Nel corso del 2019 il Centro Studi Piemontesi ha messo in campo una serie di iniziative per siglare questo importante traguardo, fare un Bilancio di mezzo secolo di intensa attività scientifica e editoriale, costruire, sulle solide radici della memoria storica, il lavoro futuro. Ha realizzato anche una medaglia ricordo (ancora disponibile, basta richiederla in Segreteria), e un video che vogliamo riproporre oggi
Il primo Presidente ing. Gaudenzio BonoI consultori
«Studi Piemontesi» giugno 2018, vol. XLVII, fasc. 1. Pagg.370, ill.
La puntualità di uscita di «Studi Piemontesi», rivista di storia, arti, lettere e varia umanità edita dal Centro Studi Piemontesi, è paragonabile a quella… del farò di San Giovanni.
Apre il primo numero del 2018 un intrigante articolo nel quale Georges Virlogeux con ampie citazioni dal carteggio di Luisa d’Azeglio Blondelci introduce in un interno di grande famiglia del Risorgimento; e offre il ritratto di una donna impegnata nella società del suo tempo. Questo articolo dà un po’ il tono al volume che si caratterizza per il numero di inediti, di documenti, di indagini di prima mano: dalle pagine di Arabella Cifani e Franco Monetti sulla ‘Clementina’, alias Giovanna Battista Maria Buzano, ritrattista di corte del Settecento; ai documenti che permettono a Massimo Cerrato di fornire il profilo di una donna saluzzese tra i secoli XII e XIII, Matheuda Rossella; alla presentazione del Fondo della Real Casa nell’Archivio Centrale dello Statoda parte di Carlo M. Fiorentino; ai disegni diCarlo di Castellamonte per il Palazzo Ducale scoperti da Thomas Wilke; ai documenti che permettono a Gianluigi Alzona di provare la presenza di Amedeo di Castellamonte durante la ristrutturazione secentesca del Castello di Agliè; a quello, scoperto da Graziella Riviera, che rivela l’incarico a Giovanni Tabachetti e Gaudenzio Ravelli per un tabernacolo a Varallo, oggi scomparso; al manoscritto presentato da Gilles Bertrand con gli appunti del luogotenente generale di polizia di Parigi Jean Charles Pierre Lenoir che visita Torino nell’autunno 1780; sulla base di un dipinto di primo Ottocento di Baldassarre Luigi Reviglio, Luca Malvicino ricostruisce il disegno del giardino (completamente cancellato nel secolo scorso) del Castello di Govone, progettato da Xavier Kurten, l’architetto del paesaggio che introdusse in Italia la moda del giardino ‘all’inglese’; infine Carlo Burdet informa su marsala e moscato in casa Gozzano (e dell’Amica di Nonna Speranza).
Siamo nel campo della storia dell’arte con Rosanna Roccia che presenta i Taccuini aperti nei quali Andreina Griseri rivela le tappe del suo percorso di studiosa e ne elenca sobriamente i risultati; mentre Walter Canavesio fa il punto su Bernardo Vittonee Arnaldo Di Benedetto prende lo spunto dalla mostra Pittori / Poeti / Pittori, organizzata dalla Fondazione Bottari Lattes a fine 2017 ad Alba, per trattare in maniera breve e acuta il tema del rapporto tra poesia e pitturae dei poeti anche pittori e dei pittori anche poeti; Anselmo Nuvolari Duodo presenta l’unica opera d’arte sacra nota del pittore Antenore Soldi, la Madonna con Gesù Bambino e santi del 1871, conservata ad Acceglio.
Un gruppo di studi è dedicato a vari aspetti della storia di Casa Savoia: Giorgio Federico Siboni tratta dei sepolcri sabaudi; Gigliola Bianchini e Marco Testa delle Messe da Requiem in memoria di Carlo Alberto; Paolo San Martino del contributo di Augusto Telluccini nella rivalutazione delle residenze sabaude. La storia del territorio è toccata da Valentina Burgassi che si occupa della commenda di Sant’Egidio di Moncalieri, un ente che, per la ricca documentazione superstite (inizia del secolo XIII), permette di seguire le trasformazioni nel corso dei secoli di una istituzione che gli Ospedalieri ereditarono dai templari. Fabio Milazzo racconta un decennio (anni Settanta dell’Ottocento) del manicomio di Racconigi, momento nel quale la visione della struttura come luogo di cura si confronta con quella che lo vede come luogo di detenzione. Il declino demografico di molti piccoli comuni piemontesiè descritto sulla base di dati statistici da Antonio Cravioglio. Garetto,Garetto, Tallone, Talon e Talonisono i cognomi della settima puntata di onomastica piemontese curata da Alda Rossebastiano, Elena Papa, Daniela Cacia. Quattro i ritratti di personaggi piemontesi: Donato D’Urso traccia il profilo di un prefetto ottocentesco, Cesare Bardesono di Rigras; Claudio Marazzini quello del bibliofilo Francesco Malaguzzi; Giovanni Tesio della scrittrice Elisabetta Chicco Vitzizzai; la ricerca onomasiologica di Alda Rossebastiano sul nome Redi Sante (il docente di pedagogia Di Pol) in ricordo del collega. E poi i ricordi di Gustavo Mola di Nomaglio per Federico Bona, di Albina Malerba per Camillo Brero e Francesco Franco.
Come sempre chiudono il fascicolo le dense pagine dedicate al «Notiziario bibliografico», allo spoglio delle riviste, all’informazione sull’attività del Centro Studi Piemontesi, alle notizie di mostre, convegni e altre iniziative riguardanti la cultura del Piemonte e degli antichi Stati Sabaudi.
“E Ti Nosgnor/…/lassa che i pòsa/ d’sora Toa man/ l’ànima mia”
(C. Brero, Commendo Spiritum, in Breviari dl’ànima, a cura di G. P. Clivio, Torino, Centro Studi Piemontesi-Ca dë Studi Piemontèis, 1969)
Si è spento questa mattina, 10 gennaio 2018, a Pianezza, dove viveva, il poeta piemontese Camillo Brero. Autore della Grammatica della Lingua Piemontese e del Vocabolario Piemontese-Italiano/Italiano Piemontese.
L’ultimo saluto a Camillo Brero sarà venerdì 12 gennaio, ore 15.30, Parrocchia San Pietro e Paolo di Pianezza.
Nato a Druento (Torino), nel 1926, è stato per molti anni insegnante prima di diventare impiegato alla FIAT. Incomincia a scrivere in piemontese negli anni Quaranta su incoraggiamento di Nino Costa e Luigi Olivero. Fatta amicizia con Pinin Pacòt, dal 1946 fa parte della “Companìa dij Brandé”. Capofila della seconda generazione dei “Brandé”, alla morte di Pacòt ne raccoglie l’eredità spirituale continuando a pubblicare “Ij Brandé”, gli annuali “Armanach ëd poesìa piemontèisa”. Accanto alla mai interrotta attività poetica, ha svolto un’intensa, appassionata, lucida militanza in difesa della lingua piemontese: autore della grammatica normativa più importante (che parte dalle norme di grafia elaborate nel 1930 da Pacòt e Viglongo), e che codifica la grafia tradizionale adottata oggi praticamente da tutti coloro che scrivono nella lingua regionale, la Gramàtica piemontèisapiù volte edita e aggiornata dal 1967 a oggi; e i due vocabolari Italiano-Piemontese (1976) e Piemontese-Italiano (1983), anche questi più volti aggiornati e pubblicati da Il Punto-Piemonte in Bancarella. Ha scritto saggi, studi, presentazioni, interventi, trasmissioni televisive e radiofoniche, da aggiungersi all’opera di promozione e di didattica. Ha curato con Renzo Gandolfo l’antologia La letteraturainpiemontesedalle origini alRisorgimento (1968) e di suo i tre volumi di unaStoria della letteratura piemontese(1981-83). È stato tra i fondatori, nel 1969, del Centro Studi Piemontesi-Ca dë Studi Piemontèis; Fondatore della Ca dë Studi Pinin Pacòt-Centro Studi Don Minzoni; Fondatore e direttore del mensile “Piemontèis Ancheuj”.
L’itinerario poetico di Brero si distribuisce nelle raccolte Spluve (Scintille)(1949), Stèile… stèilin-e (Stelle…stelline) (1956), Breviari dl’anima (Breviario dell’anima) (1962), L’anima mia a s’anandia (L’anima mia s’incammina) (1968), Bin a la tèra e l’àutra bin (Bene alla terra e l’altro bene) (1977), Ma ‘l sol doman a ven… Bin e poesìa an lengapiemontèisa (Ma il sole domani viene…Bene e poesia in lingua piemontese) (1986), An brass al sol (In braccio al sole) (1996),Vos ëd l’etern present (Voce dell’eterno presente) (2003).
“La poesia di Brero è sempre stata – da subito – una confessione e una confidenza, una festa e un affidamento (parola che sa di orfanezza e di fede, di fiducia e di accoglienza). La sua direttrice è da sempre stata la luce: la ricerca e l’elogio – il canto – della luce che festeggia l’ombra, il passo (della fede) che imprime l’orma. Le sue parole si sono sempre incardinate nel suono di una voce che scaturisce dalle più segrete sorgive di un richiamo ancestrale. Per cui l’incontro con Pacòt valse a conferma di una vocazione in travaglio. Ed è valsa a stanare una sete e un bruciore che già aveva la sua storia ma che sentiva l’urgenza (la necessità) di uno sbocco persuasivo”. “Un poeta che diventa intensamente persuasivo quando riesce a confondere (ma meglio sarebbe dire sciogliere) il lirismo d’impeto e un po’ oratorio nel sentimento di un tempo sommesso, nell’abbandono confidente in una religione che salva senza rumore, nello sgranarsi di un fitto rosario di frammenti o di istanti rasserenati e solari” (Giovanni Tesio).
Pcita antologìa piemontèisa Piccola antologia piemontese soagnà da / a cura di Albina Malerba
EDOARDO IGNAZIO CALVO (1773-1804)
Fàula X
Ël balon volant e le grùe
Un gròss balon volant ch’s’era elevà
an aria con un ton ‘d magnificensa,
incontra un vòli ‘d grùe për la stra;
chiel-sì, gonfi ‘d se stess, dla soa presensa,
pensand d’essi padron dël cel, dij vent,
a-j ha ciamje tute a l’ubidiensa,
disendje:-E voi, chi seve? E che ardiment
d’avnime an paradis sëcché la glòria,
d’andé così spasgiand mè apartement?
I veuj pì nen sufrì sta vòstra bòria,
e voi, s’pretende ancor d’aussé ‘l cachèt,
pensé ch’i peuss fiacheve la sicòria.-
Le grùe sentiend lò, pien-e ‘d dispet
a-j han rispòst:-E voi, che bestia seve?
Chi ‘v ha portave sì, l’é-lo ‘l folèt?
Përchè ch’j’aspete ancheuj mach a mostreve?
D’alora ch’noi i vnoma su da sì,
e pur n’é mai rivane d’incontreve!-
A-j replica ‘l balon: – Adess a mì!
Ghèra, ch’i vad a feve na bignëtta!
Partì gheusaja, presto! Eve capì?-
Ma disend lò ‘s dëstaca la s-cionfëtta,
dont a-i era ‘l feu sot, e’l gran balon
a l’é restà rupì giust com ‘n erbëtta.
Ritratto del medico Edoardo Ignazio Calvo, poeta civile del Piemonte. Torino, Archivio del Centro Studi Piemontesi-Ca dë Studi Piemontèis.
Sta fàvola a veul dì ch’ha son ‘d mincion
coj taj ch’a son ‘d subrich e ‘s levo an aria
përchè ch’a son guarnì ‘d piume ‘d pavon;
venta pensé che ‘d vòlte ‘l vent a varia,
e coj ch’a son son mach gonfi a fòrsa ‘d fum,
se a-j càpita na bisa un pò contraria,
a perdo ‘l feu da sot, e sò volum.
Dal volume E.I. Calvo, Poesie piemontesi e scritti italiani e francesi, edizione del bicentenario a cura di Gianrenzo P. Clivio, Torino, Centro Studi Piemontesi-Ca dë Studi Piemontèis, 1973.
NINO COSTA (1886-1945)
Rassa Nostran-a
Ai Piemontèis ch’a travajo fòra d’Italia
Nella sua omelia in piazza Vittorio a Torino Papa Francesco ha citato in italiano, con commozione, i versi di una poesia in lingua piemontese di Nino Costa, che sappiamo essergli particolarmente cara. Ecco il testo integrale in piemontese.
Dritt e sincer, còsa ch’a son, a smìo:
teste quadre, polss ferm e fidigh san:
a parlo pòch, ma a san còsa ch’a dìo:
bele ch’a marcio adasi, a van lontan.
Saraié, murador e sternighin,
mineur e campagnin, saron e fré:
s’ai pias gargarisé quaich bota ‘d vin,
j’é gnun ch’ai bagna ‘l nas për travaié.
Gent ch’a mërcanda nen temp e sudor:
– rassa nostran-a libera e testarda –
tut ël mond a conòss chi ch’a son lor
e, quand ch’a passo… tut ël mond ai goarda:
“Biond canavsan con j’euj color dël cel,
robust e fier parei dij sò castei.
Montagnard valdostan dai nerv d’assel,
mascc ëd val Susa dur come ‘d martei.
Facie dle Langhe, robie d’alegrìa,
fërlingòtt dës-ciolà dij pian verslèis,
e bielèis trafigon pien d’energìa
che për conòssje ai va set ani e ‘n meis.
Il monumento al poeta Nino Costa al Valentino, Torino (particolare)
Gent ëd Coni: passienta e ‘n pò dasianta
ch’a l’ha le scarpe gròsse e ‘l servel fin,
e gent monfrin-a che, parland, a canta,
ch’a mossa, a fris, a beuj… come ij sò vin.
Tut ël Piemont ch’a va cerchesse ‘l pan,
tut ël Piemont con soa parlada fiera
che ‘nt le bataje dël travaj uman
a ten auta la front… e la bandiera”.
O bionde ‘d gran, pianure dl’Argentin-a
“fazende” dël Brasil perse ‘n campagna,
i sente mai passé n’ ”aria” monfrin-a
o ‘l ritornel d’una canson ‘d montagna?
Mine dla Fransa, mine dl’Alemagna
ch’ël fum a sercia ‘n gir parei ‘d na frangia,
vojautre i peule dì s’as lo guadagna,
nòstr ovrié, col tòch ëd pan ch’a mangia.
Quaich vòta a torno e ij sòld vansà ‘d bon giust
ai rendo ‘n ciabotin o ‘n tòch ëd tèra
e ‘nlora a ‘nlevo le soe fiëtte ‘d sust
e ij fiolastron ch’a l’han vinciù la guèra.
Ma ‘l pì dle vòlte na stagion përdùa
o na frev o ‘n maleur dël sò mësté
a j’anciòda ‘nt na tomba patanua
spersa ‘nt un camposanto foresté.*
*L’ Autore allude al padre, come lui “biond canavsan con j’euj color dël cel”, morto oltre oceano in emigrazione.
Monumento al poeta Pinin Pacòt ai Giardini Cavour, TorinoAnt la neuitToa man
na feuja
legera
che as pòsa
e pa ancora tranquila
a frisson-a
për tèra.
An tò sguard…
An tò sguard
spali ‘d nivole
as piega ‘l beussiel
su na colin-a
vërda lontan-a
che as drissa ciàira
dài mè ani masna.
Tënnre le feuje…
Tënnre le feuje dj’orm
sël verd pi scur dij pin
e la lus che a filtra
tra ij ricam
dle rame legere
e ‘l cheur che a nija
ant l’ària
s’avisca an cel na nivola
solitària.
I strenzo ‘l ricòrd…
I strenzo ‘l ricòrd
ëd ti
ant ël creus ëd mia man
e so calor l’è doss
che squasi i lo scoto
coma un bësbij ant lë sangh
ma se i deurbo la man
am ampiniss ël cel
con ël bate ‘d soe ale.
Tò pensé…
Tò pensé
am anvlupa
i biàuto
ant una ciàira
eva corìa.
Dal volume: Pinin Pacòt, Poesìe e pàgine ‘d pròsa, ristampa anastatica dell’edizione del 1967, prefazione di Gustavo Buratti, con l’aggiunta a postafazione di un ritratto critico di Riccardo Massano, Pinin pacòt artista e poeta. Nuova ristampa nel centenario della nascita del poeta a cura di Renzo Gandolfo e Albina Malerba, Torino, Centro Studi Piemontesi- Ca dë Studi Piemontèis, 2000.
LUIGI OLIVERO (1909-1996)
“Maalesh” * “in arabo: rassegnazione, pazienza”.
Tut a comensa e peuj
tut a finìss. L’ancheuj
a l’è ‘l tramont ëd ier
e già l’alba ‘d doman:
gnente che un buf leger
tra le palme ‘d doe man.
E tut passa e a passrà.
Mai gnente a rësterà.
Tut a nass e as dësbela
për fiorì, dësfiorì:
na carëssa ‘d piasì.un dolor a scancela
Luigi Olivero nella sua casa di Roma (Foto di A. Malerba)
Gnente ch’a dura al mond:
Tut nija ant ël profond.
Come a meuiro ij soris,
come a meuiro ij maleur,
ij cambrada e ij nemis
a meuiro ant ël mè coeur.
Chërde ant l’eternità
Quand as viv na giornà?
Chërde ant ij seugn d’amor
Quand a së spèrdo al vent?…
Lasseme indiferent
– sensa ni rij, ni pior –
gòde ‘l sol splendrïent
– e la lun-a d’argent.
BIANCA DORATO (1933 – 2007)
Lassé ch’i dreuma
Lassé ch’i dreuma
përchè mach ant ël seugn
mi i peuss andé
a le leuve damont
e argaleme ‘nt l’arcòrd
Dnans a mè pass
mistà ‘d lus a fiorìo
tut am parlava
con paròle sacrà
Mach pì ant ël seugn
dnans a mi montagne
àute mi i vëddo
-dnans a mi muraje
candie ‘d fiòca nuvissa
Come an revada
pianà ‘d ciairor i lasso
-a l’é tant dossa
costa pass d’andurmìa
(ciuto pen-e e dolor)
Lassé ch’i dreuma
la gòj a l’é për mi
ancora e ancora
dré dla seuja dël seugn
Ora e sempe am traversa
GIANRENZO P. CLIVIO
(Torino 18 gennaio1942 – Toronto, Canada, 22 gennaio 2006)
Un di marcc-rai da sol
A gem sota tò pugn ël tavo ëd nosera
e a smija ch’at mossa an drinta ‘l vin brulé:
a ti ch’it fure ‘l mè pi car amis
l’é tuta dverta com ëdnans a Dé
mia ànima d’ancheuj!
Goblòt ëd branda costa sèira:
minca na stissa a l’é na gran-a
passà al gariòt ëd në spovrin dle masche,
ùltima gòj, contradansa e contraltar,
dongion d’una speransa!, për voi,
òmini moch, ch’i marce an trantoland,
parej dij cioch…
It làudo, ò Mossant, ò S-cèt, ch’it ëm ancioche!
Ti ‘t ses la sàiva, l’ùltima sàiva, ëd costa tèra…
Pòche béstie an sle colin-e, òmini
pòchi – tuti gris – apres la slòira a la matin d’otugn;
e pra d’erbass, ronze e gratacui, e nen na man da deje feu.
Drocheri ‘d veje tor, ciabòt ëd pere, rive d’arbron,
sle piasse dij pais vej sensa giovo,
e ant ij pais ij pra dla fera, ancoronà d’urtije:
tèra che tò abandon, ross, it piores ant ël sangh
ëd j’arovej a mass s’ij vataron baross.
Sensa can ch’a baulo, cassin-e langareule:
èire canavsan-e, sensa masnà ch’a gieugo.
Ёl tòr noviss monta pi nen la vaca
a la stagion dl’amor!
Ahidé! A l’é ben l’ora dj’ànime bastarde
ch’an anciarmo parej dle serp oslere:
slussi d’assel, për la tèra monfrin-a,
e ant ël vent pa dle nòstre, le paròle:
It làudo, ò Fort, ò Dru, ch’it ëm ësbòrgne!
Ti ‘t ses la gòj, l’ùltima gòj, ëd costa tèra…
I l’hai ciamà për nen dëdnans la bërgerìa.
L’uss ëd malëzzo con un càuss d’amor e ‘d ràbia
a l’é drocà. Parej ëd na carëssa.
Fin-a l’eva dël baciass smiava bastarda.
J’òmini strach an fons dla val,
piturà le fomne, fumeria nèira paress ch’a dagna,
an sla toa trun-a, ò fier Piemont,
ch’l’é daspërtut, e sensa fior, e sensa lus.
A bacaja ‘l fumlam, le masnà a uco.
Lassù, gnanca pi n’òm ch’a-i passa.
It làudo, sent mila vire it làudo, o vin monfrin,
it làudo, ò vin monfrin ch’it ëm andeurme!
Ti’t sèi ra mimòria, l’ùltima, dra mè tèra…
Mi sai che un di marcc-rai da sol
sla tèra piemontèisa, an mes
a gent strangera e a fieuj dësradisà:
venturand i passrai torna, com un neuv Gianpetadé,
për le colin-e dël Monfrà, ant un’ària nissa,
e an sla piassa dël mërcà ‘d minca pais
ëd fije bërnufie, masche dël temp neuv,
con la facia amblëttà am faran dë svergne.
I seu pa nen, se spìrit i sareu, o i sareu còrp:
ma i seu franch ben che un dì marcc-reu da sol
sla tèra piemontèisa.
Për ij cit
Le buate
Catlinin l’ha na buata
ch’a l’é bela pèj ‘d na gata.
As la buta an sò letin,
però prima a-j dà un basin.
Sta citin-a a l’ha ’d buate
ch’a son pròpe gnente mate.
Ansi chila a-j veul tant bin
e as je ten sempe davzin.
LA BAMBOLA. Caterinetta ha una bambola che è bella come una gatta. Se la mette nel suo lettino, però prim le dà un bacino. Questa bambina ha delle bambole che non sono proprio per gnente matte. Anzi lei gli vuole tanto bene e se le tiene sempre vicino.
Ël negòssi dle dësmore
An giojera a-i é un trenin
ch’a l’é pròpe tan carin.
A fà marcia anans e andré,
basta ‘1 véder ësgnaché.
Peui an drinta a-i son ’d binari
e dë scambi feroviari,
ëd vagon ch’a pòrto ‘1 gran
e ‘d vagon fin ch’a-i na van.
Toca pa con cola man!
A-i son cò ‘d locomotive,
bele tant ch’a smijo vive.
A-i é ‘1 tènder co’l carbon
e ‘d dësmore co’ij boton.
Medeòt veul un vagon,
Miclinòt veul na stassion.
Sò papà, ch’a l’é tant brav,
ved un treno su na trav
che për parte a-i va na ciav.
Medeòt a veul caté
un bel treno për giughé.
Sò papà a dev paghé
e peui torna travajé.
IL NEGOZIO DI GIOCATTOLI. In vetrina c’è un trenino che è proprio tanto carino. Fa marcia avanti e indietro, basta il vetro schiacciare. Poi dentro ci sono dei binari e degli scambi ferroviari, dei vagoni che portano il grano e dei vagoni finché ce ne vogliono. Non toccare con quella mano! Ci sono anche delle locomotive, belle tanto che sembrano vive. C’è il tender con il carbone e dei giocattoli con i bottoni. Medeolino vuole un vagone, Michelino vuole una stazione. Il loro papà, che è tanto bravo, vede un treno sopra un trave che per partire ci vuole una chiave. Medeolino vuol comprare un bel treno per giocare. Il loro papà deve pagare e poi di nuovo lavorare.
Dal volume: Gianrenzo P. Clivio, Trenin, dësmore e buate, poesiòte piemontèise pr’ij cit, Torino, Centro Studi Piemontesi-Ca dë Studi Piemontèis, 2001.
ATTILIO SPALDO (1914-1997)
Sèira turinèisa
Sèira grisa d’invern che tut a nija
drinta la nebia: a marcia a testa bassa
bin pòca gent e a va coma sburdìa
ant l’ombra còtia che d’antorn la fassa.
Son euj ëd luv, che silensios a sghija,
le lus d’un àuto, e a smijo a na ramassa
ij branch d’un erbo, ant ël pugn sèch, ’d na strija.
Sul cheur as pòsa coma un vel ëd giassa.
Ma da quàich part, chissà da ’ndova, a ven,
bin conossù, un profum pròpe nostran,
Attilio Spaldo con Camillo Brero
dësvié n’onda d’arcòrd e d’alegrìa.
Scòla, teatro, primi amor: seren
e bej j’ero coj di già tant lontan:
profum dle “brusatà”, che ’d poesìa!
TAVO BURAT (1932-2009)
Piemontèis che mi son
Dabon mi i l’hai nen d’àutre soste
da fòra dal mond ëd mia lenga.
‘L piemontèis a l’é mè pais.
Mi i l’hai gnente d’àutr da difende
mach ës lagh ëd laità bujenta
coma na colobia sarvaja
che d’andrin e fòra am nuriss.
‘L piemontèis a l’é mè pais.
Gnun d’àutri drapò d’andeje dapress
che coste paròle ‘d rista tròp dura
bagnà tëssùa con la mia saliva
e che a quata a j’euj mè còrp patanù.
‘L piemontèis a l’é mè pais.
Tuta la resta a l’é mach d’anviron.
Piemontese ch’io sono. Certo non ho altro rifugio / fuori dal mondo della mia lingua. / Il piemontese è il mio paese. / non ho altro da difendere / soltanto questo lago di siero bollente / come una selvaggia mistura per animali / che dentro e fuori mi nutre. // Nessun altra bandiera da seguire / che queste parole di canapa troppo rigida / inumidita tessuta con la mia slaiva / e che agli occhi cela il mio corpo nudo. / Il piemontese è il mio paese. / Tutto il resto è soltanto dintorni.
Dal volume: Tavo Burat, Poesìe, introduzione di Sergio M. Gilardino, Torino, Centro Studi Piemontesi-Ca dë Studi Piemontèis, 2008.
CARLO REGIS (1929-2017)
Ciò frust
Son butàme a tnì da cont
ij ciò frust
risurènt ò lustr
stòrt ò drit
sensa testa
con la ponta manòcia
ò la gamba da cesa
con lë snoj dobià.
Al moment bon
ij long son tròp curt
ij curt son tròp longh
ij cit son tròp gròss
ij gròss bajo ’nt ël ghèrb,
e còs a-i resta
al prim crèp ëd martél
pèrda la testa.
………………
Lo seu,
sèrvo manch a fé feu
ant ël potagé
ò ’l verdaram për le vis;
ma mi
– tornidor ëd lun-e –
i n’heu tanti.
CAMILLO BRERO
La nòstra bela lenga piemontèisa
Quand che ij fieuj e j’anvod
parleran pi la nòstra bela lenga piemonteìsa
‘dcò le muraje a ‘rfaceran “Vergògna”
ai savant e ai potent ch’a l’han baratala
– la nòstra bela langa piemontèisa –
con tranta ‘dné e ‘1 giov dla lenga dj’àutri.
Quand che i fieuj e j’anvod parleran pi
la nòstra bela lenga piemontèísa
– e noi e ij Grand saroma arson lontan
d’una vos dròla ‘d na cossiensa veja
ij dàir, le pere, ij ròch la parleran
la nòstra bela lenga piemontèisa,
j’eve dij nòstri fium la canteran
la nòstra bela lenga píemontèisa,
la lòsna e ‘1 tron a la diran sle nìvole
la nòstra bela lenga piemontèísa,
ël vent la crijerà tra la tempesta
la nòstra bela lenga piemontèisa,
la lun-a ëd neuit la confidrà a le faje
le nòstra bela lenga piemontèisa,
ëd di a risplenderà ant la lus dël sol
la nòstra bela lenga piemontèísa.
La nòstra bela lenga píemontèsa
tradìa e dismentià,
la nòstra bela lenga piemontèisa.
Oh, mia bela lega piemontèisa
che ant ël mè sangh it vive!
GIOVANNI TESIO
Sonèt LXXVII
Poesìa a viv – inùtil – da sola
e a sta daspërchila, gnun-e pietà,
s’a basta subiela e chila, paròla,
sla canta e a t’ëncanta com na mistà.
L’é pa la rason ch’a peussa ferila
përchè ‘n gir arson-a sensa dì gnente.
Essend n’armonìa ‘ntoca sentila
s’a l’é ‘n tël silensi ch’as fassa sente.
A-i é pa ‘d motiv ‘d romp-la ‘n quat tòch
come s’angigno ij cacàm pì fabiòch
che peuj a la fin combin-o bin pòch.
La cita lession ch’i peussa mai fé
a l’é un-a sola: ‘d lassesse ‘ndé
për fé mës-cëtta dël cheur e dël pré.
La poesia vive – inutile – da sola/ e sta da sola, nessuna pietà,/ se basta fischiettarla e lei, parola,/ se la canta e ti incanta come un’immagine.// La ragione non può ferirla/ perché lei intorno risuona senza dire niente./ Essendo un’armonia bisogna sentirla/ se è nel silenzio che si faccia sentire.// Non ci sono motivi si romperla in quattro pezzi/ come s’ingegnano di fare i sapienti più sciocchi/ che poi alla fine combinano ben poco.// La piccola lezione che possa fai fare/ è una sola: di lasciarsi andare/ per rimescolare il cuore e il ventriglio.
Dal volume : Giovanni Tesio, Stantesèt sonèt, prefazione di Lorenzo Mondo, Torino, Centro Studi Piemontesi-Ca dë Studi Piemontèis. 2015.